Anas

 

Kasbah Team: Anas

Il piccolo Anas è stato portato nell’antica moschea della kasbah. Tutti gli uomini, i ragazzi e i bambini sono entrati per dargli l’ultimo saluto. Le donne sono tutte fuori della porta.

Con Massimo, mio compagno da più di 40 anni, siamo arrivati un po’ in ritardo. Per noi è difficile partecipare al loro lutto. Noi abbiamo provato a sfidare il destino e abbiamo sbagliato. Abbiamo  portato a Roma il povero ragazzo idrocefalo per farlo curare. Lo abbiamo accudito per tanti mesi, lo abbiamo seguito e amato come un figlio. E l’abbiamo perso in pochi giorni, dopo averlo riportato a casa sua ormai sulla via della guarigione.

Ora siamo qui a per partecipare all’ultimo saluto. Non sappiamo cosa fare. Massimo viene invitato nella moschea, io sono accerchiata e soffocata dall’affetto di decine di donne. La mamma di Anas è rimasta a casa  con le altre due figlie. La cerimonia è finita… ora il ragazzo, avvolto in un sudario bianco, poggiato su una specie di barella, sospeso sulla testa di alcuni ragazzi, viene portato al cimitero. Anche Massimo ha avuto l’onore di sostenere la  salma. Nella kasbah una nenia urlata attraversa le stradine. Io seguo le donne: nella casa di Amina ce ne sono già decine.Tutte hanno un pezzetto di pane in mano e un fico secco. Mi spiegano che sarà il pasto consentito  quando ci ritroveremo al cospetto dei due profeti Maometto e Issa (Gesù).

Ci si bacia continuamente. Le giovani donne baciano le mani delle più anziane. Io vengo fatta accomodare vicino alla mamma, che mi guarda con tenerezza e a volte con stupore perché singhiozzo, continuo a piangere senza riuscire a fermarmi. Una donna mi tocca il braccio dolcemente: Kalas (smetti) di piangere: devi confortare tu la mamma, non deve essere lei a darti conforto.

 

 

 

 

 
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